
venerdì, luglio 20, 2007
giovedì, luglio 19, 2007
giovedì, gennaio 25, 2007
Non c’è più niente da uccidere
Il vostro Parroco Lorenzo Langella ha usato queste parole riferendosi alla situazione della nostra città di Mondragone parlando con il papà di Veronica, meravigliosa giovane ragazza uccisa a 20 anni non da un criminale, ma da una persona come noi contagiata dalla cultura di morte che vige nel Meridione d’Italia: «In questa città non c’è più niente da uccidere».
Ma come? Ci si chiederà. Cosa significa, che noi tutti siamo già morti?
Monsignor Nogaro ama parlare, a proposito della cultura della morte, della necessità di liberarci del camorrista che è in ognuno di noi. È inutile criminalizzare gli esecutori estremi della logica di terrorismo locale che mira a garantire i privilegi di pochi, perché gli ordini vengono dati loro (poveri raccoglitori di briciole che pagano in prima persona con la morte o infradiciando in galera) dal sistema di «gruppi di potere locali che si presentano verso il centro come garanti di consenso, e verso la base come imprescindibili trasmettitori di risorse, più o meno clientelari, più o meno soggette all’arbitrio, all’illegalità, al controllo violento (vedi documento della Conferenza Episcopale Italiana: Sviluppo nella solidarietà, Chiesa italiana e Mezzogiorno)». Tutti i Vescovi scrissero in quel documento del 1989 che: «La Chiesa italiana condanna radicalmente queste organizzazioni criminose ed esorta gli uomini “mafiosi” ad una svolta nel loro comportamento. Il loro agire offende l’uomo, la società, ogni senso etico, religioso, il senso stesso dell’ ”onore” e si ritorce, poi, contro loro stessi».
Non c’è più niente da uccidere dove la pubblica amministrazione (e non mi riferisco alla nostra città, né alla destra o alla sinistra, ma a tutto il Meridione d’Italia) ha lasciato negli ambiti di questo sostrato di antistato il controllo dei pubblici appalti, della spazzatura, delle cooperative sociali, cioè il controllo dei flussi di capitali provenienti dal Governo centrale per finanziare poi traffici molto più produttivi come quello delle armi, della droga e della prostituzione. Tra questi livelli di controllo la nostra comunità parrocchiale ha fatto ultimamente esperienza di due padri di famiglia uccisi (l’ultimo bruciato vivo) nello svolgimento del loro lavoro di guardie giurate presso le antenne Vodafone di Pescopagano. Personalmente ho interpretato tali episodi come un ulteriore campanello d’allarme di una guerra tra poveri su ciò che è considerata un’ultima disperata fonte di guadagno: la corsa ai fitti verso le società di telefonia mobile; mercato che, come ogni altro, non è esente dalla legge del pizzo. La mia provocazione di istallare un’antenna di telefonia mobile su un immobile parrocchiale, che sono fermamente convinto rimane valida in linea di principio, mira a sollevare il problema di un ritorno al controllo dei flussi di capitali citati riconquistandoli al bene comune, cioè a vantaggio di tutta la comunità civile, utilizzando edifici di interesse comune quali quelli comunali, associazioni, conventi, oratori, soluzione già adottata in molte città.
È divenuta improcrastinabile quella “formazione delle coscienze” che deve arginare il ridursi del bene comune a “cosa nostra”, cominciando col costruire termovalorizzatori, cooperative sociali, impianti di telefonia mobile direttamente controllati dalle amministrazioni locali con proventi che ridiano linfa vitale allo sviluppo e all’occupazione. Invito soprattutto i nostri fratelli camorristi a convertirsi alla speranza che il diritto al lavoro di ogni cittadino, diritto non favore del colletto bianco, potrà essere attuato anche nel Sud d’Italia. Se insieme ci si apre al cambiamento, l’ipocrisia perbenista di chi crede di poter accumulare soltanto per sé al di fuori di ogni regola di solidarietà sarà smascherata. L’idolatria e l’ostentazione del lusso privato è il cancro che ha generato ogni altro cancro, compreso quello che ognuno cova già dentro di sé per aver respirato diossina da mesi. Non si vuol criminalizzare nessuno, ma la misura della perdita di ogni dignità umana è satura, il libro “Gomorra” ed il video indagine “ ‘o sistema” hanno portato ai limiti massimi la denuncia possibile che non si può più ignorare. Nella prospettiva del Vangelo ogni male è stato già redento, ma sta al libero arbitrio di ogni uomo di buona volontà partecipare di tale redenzione. Giovanni Paolo II, nella Valle dei templi ad Agrigento, dopo aver parlato con la mamma del giudice Antonio Livatino, ucciso dalla mafia, gridò alzando il pastorale verso il cielo che mai a nessuno è dato di decidere della vita del proprio fratello e che il giorno del giudizio sarebbe arrivato per ognuno e la condanna è eterna per chi ha condannato a morte il proprio fratello. Tale condanna non riguarda solo l’esecutore materiale, ma il tessuto sociale che si fa complice della cultura della morte mantenendo un atteggiamento di omertà ad ogni livello. Questo non significa fare la guerra contro qualcuno, mi fanno ridere quelli che parlano di preti o di singoli “anticamorra”, ma si tratta di liberarci dal camorrista che è in ognuno di noi. I Vescovi Antonio Riboldi, Antonio Bello, GianCarlo Maria Brigantini, il sacerdote don Giuseppe Diana ucciso dalla camorra a Casale di Principe, il sacerdote ucciso dalla mafia al quartiere Brancaccio di Palermo don Giuseppe Puglisi hanno sempre chiesto a chi è stato arruolato nell’esercito della mala vita di lasciarsi liberare dall’ipocrisia perbenista di chi li usa; come afferma lo stesso Mario Savio boss della camorra, nel suo libro “La mala vita” lettera al figlio: «Il percorso criminale è sempre perdente, lo capisci quando paghi tutto il biglietto, che non sei per niente tu a comandare. Non resta che la sofferenza. E la terribile sensazione di fallimento…fare i criminali era per noi una risposta lecita alla miseria, un segno di rivolta oltre che di sopravvivenza…noi pellerossa, voi usurpatori di ricchezza».
Tutto può essere recuperato è il messaggio del Convegno di Verona, se la comunità civile si fa carico di ogni miseria convertendosi ad una logica di solidarietà vera e di comunione. Chi sta “pagando il biglietto” non sono solo i migliaia di morti per camorra o i nostri fratelli carcerati, ma ogni persona che si illude di essere ancora in piedi in questa amatissima “terra nostra”. Le parole di Gesù: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno sono belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così anche voi apparite giusti all’esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità (Mt 23,27-28)» sono la condanna ad ogni atteggiamento farisaico di chi crede di poter risolvere le problematiche facendosi i “fatti propri” e scaricando su altri la responsabilità, giudicando, condannando con fare demagogico (questo è il vero omicidio di camorra: la calunnia, il disfattismo, criticare ogni operato dell’altro con becera rozza ignoranza del bene), atteggiamento che ha portato alla totale delega ad una politica diminuita di potere reale, perché sempre meno espressione della base, ma pilotata dall’alto da interessi altri quelli riguardanti il bene comune delle comunità locali, e ad un’indifferenza che rischiano di divenire perdita totale di controllo sulla gestione della cosa pubblica, come detto sopra.
Il da farsi non sta a me indicarlo, dico solo che in questo momento ho un grande desiderio di fare il prete con il breviario in mano, un pulitissimo abito talare indosso che non si sporca per nulla che non gli riguardi, vile e taciturno, sapendo benissimo che ciò per me sarebbe l’inferno di un morto vivente, sepolcro imbiancato che non sa dare risposte ai giovani senza speranza e disoccupati che gli sono affidati dinanzi a Dio. Il vostro Parroco vi chiede aiuto, cacciatemi, fatemi uccidere se do fastidio, ma non siate ipocriti. Tutto è recuperabile se ci liberiamo dalla paura di chi può uccidere il nostro corpo e cominciamo ad avere il coraggio di aver paura di Chi può uccidere sia il corpo che l’anima, cioè il cancro della Divisione che ci fa scagliare gli uni contro gli altri, rossi contro neri, fedeli contro infedeli, buoni contro cattivi: Satana, il diavolo, il muro di divisione che nella superbia ci separa da Dio e dagli altri. Se il Male viene identificato con qualsiasi creatura umana, si confonde il bene con l’eliminazione dell’altro, la religione stessa diviene ca-morrìa, il desiderio di morte dell’altro perché di ostacolo ai miei progetti egoistici, mentre invece dovremmo essere testimoni del Risorto che non è venuto a giudicare o a condannare nessuno, ma a portare misericordia presentandosi come la Via che conduce alla vita eterna, unico bene che nessuno potrà mai toglierci, al quale ogni nostro pensiero, azione, scelta deve ricominciare ad orientarsi.
Grazie per tutto ciò che continueremo a fare insieme, vi amo tutti ed ognuno,
ringrazio Dio di avermi mandato in mezzo a voi e sono sempre più felice di esserci.
Il vostro Parroco don Lorenzo Langella
Ma come? Ci si chiederà. Cosa significa, che noi tutti siamo già morti?
Monsignor Nogaro ama parlare, a proposito della cultura della morte, della necessità di liberarci del camorrista che è in ognuno di noi. È inutile criminalizzare gli esecutori estremi della logica di terrorismo locale che mira a garantire i privilegi di pochi, perché gli ordini vengono dati loro (poveri raccoglitori di briciole che pagano in prima persona con la morte o infradiciando in galera) dal sistema di «gruppi di potere locali che si presentano verso il centro come garanti di consenso, e verso la base come imprescindibili trasmettitori di risorse, più o meno clientelari, più o meno soggette all’arbitrio, all’illegalità, al controllo violento (vedi documento della Conferenza Episcopale Italiana: Sviluppo nella solidarietà, Chiesa italiana e Mezzogiorno)». Tutti i Vescovi scrissero in quel documento del 1989 che: «La Chiesa italiana condanna radicalmente queste organizzazioni criminose ed esorta gli uomini “mafiosi” ad una svolta nel loro comportamento. Il loro agire offende l’uomo, la società, ogni senso etico, religioso, il senso stesso dell’ ”onore” e si ritorce, poi, contro loro stessi».
Non c’è più niente da uccidere dove la pubblica amministrazione (e non mi riferisco alla nostra città, né alla destra o alla sinistra, ma a tutto il Meridione d’Italia) ha lasciato negli ambiti di questo sostrato di antistato il controllo dei pubblici appalti, della spazzatura, delle cooperative sociali, cioè il controllo dei flussi di capitali provenienti dal Governo centrale per finanziare poi traffici molto più produttivi come quello delle armi, della droga e della prostituzione. Tra questi livelli di controllo la nostra comunità parrocchiale ha fatto ultimamente esperienza di due padri di famiglia uccisi (l’ultimo bruciato vivo) nello svolgimento del loro lavoro di guardie giurate presso le antenne Vodafone di Pescopagano. Personalmente ho interpretato tali episodi come un ulteriore campanello d’allarme di una guerra tra poveri su ciò che è considerata un’ultima disperata fonte di guadagno: la corsa ai fitti verso le società di telefonia mobile; mercato che, come ogni altro, non è esente dalla legge del pizzo. La mia provocazione di istallare un’antenna di telefonia mobile su un immobile parrocchiale, che sono fermamente convinto rimane valida in linea di principio, mira a sollevare il problema di un ritorno al controllo dei flussi di capitali citati riconquistandoli al bene comune, cioè a vantaggio di tutta la comunità civile, utilizzando edifici di interesse comune quali quelli comunali, associazioni, conventi, oratori, soluzione già adottata in molte città.
È divenuta improcrastinabile quella “formazione delle coscienze” che deve arginare il ridursi del bene comune a “cosa nostra”, cominciando col costruire termovalorizzatori, cooperative sociali, impianti di telefonia mobile direttamente controllati dalle amministrazioni locali con proventi che ridiano linfa vitale allo sviluppo e all’occupazione. Invito soprattutto i nostri fratelli camorristi a convertirsi alla speranza che il diritto al lavoro di ogni cittadino, diritto non favore del colletto bianco, potrà essere attuato anche nel Sud d’Italia. Se insieme ci si apre al cambiamento, l’ipocrisia perbenista di chi crede di poter accumulare soltanto per sé al di fuori di ogni regola di solidarietà sarà smascherata. L’idolatria e l’ostentazione del lusso privato è il cancro che ha generato ogni altro cancro, compreso quello che ognuno cova già dentro di sé per aver respirato diossina da mesi. Non si vuol criminalizzare nessuno, ma la misura della perdita di ogni dignità umana è satura, il libro “Gomorra” ed il video indagine “ ‘o sistema” hanno portato ai limiti massimi la denuncia possibile che non si può più ignorare. Nella prospettiva del Vangelo ogni male è stato già redento, ma sta al libero arbitrio di ogni uomo di buona volontà partecipare di tale redenzione. Giovanni Paolo II, nella Valle dei templi ad Agrigento, dopo aver parlato con la mamma del giudice Antonio Livatino, ucciso dalla mafia, gridò alzando il pastorale verso il cielo che mai a nessuno è dato di decidere della vita del proprio fratello e che il giorno del giudizio sarebbe arrivato per ognuno e la condanna è eterna per chi ha condannato a morte il proprio fratello. Tale condanna non riguarda solo l’esecutore materiale, ma il tessuto sociale che si fa complice della cultura della morte mantenendo un atteggiamento di omertà ad ogni livello. Questo non significa fare la guerra contro qualcuno, mi fanno ridere quelli che parlano di preti o di singoli “anticamorra”, ma si tratta di liberarci dal camorrista che è in ognuno di noi. I Vescovi Antonio Riboldi, Antonio Bello, GianCarlo Maria Brigantini, il sacerdote don Giuseppe Diana ucciso dalla camorra a Casale di Principe, il sacerdote ucciso dalla mafia al quartiere Brancaccio di Palermo don Giuseppe Puglisi hanno sempre chiesto a chi è stato arruolato nell’esercito della mala vita di lasciarsi liberare dall’ipocrisia perbenista di chi li usa; come afferma lo stesso Mario Savio boss della camorra, nel suo libro “La mala vita” lettera al figlio: «Il percorso criminale è sempre perdente, lo capisci quando paghi tutto il biglietto, che non sei per niente tu a comandare. Non resta che la sofferenza. E la terribile sensazione di fallimento…fare i criminali era per noi una risposta lecita alla miseria, un segno di rivolta oltre che di sopravvivenza…noi pellerossa, voi usurpatori di ricchezza».
Tutto può essere recuperato è il messaggio del Convegno di Verona, se la comunità civile si fa carico di ogni miseria convertendosi ad una logica di solidarietà vera e di comunione. Chi sta “pagando il biglietto” non sono solo i migliaia di morti per camorra o i nostri fratelli carcerati, ma ogni persona che si illude di essere ancora in piedi in questa amatissima “terra nostra”. Le parole di Gesù: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno sono belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così anche voi apparite giusti all’esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità (Mt 23,27-28)» sono la condanna ad ogni atteggiamento farisaico di chi crede di poter risolvere le problematiche facendosi i “fatti propri” e scaricando su altri la responsabilità, giudicando, condannando con fare demagogico (questo è il vero omicidio di camorra: la calunnia, il disfattismo, criticare ogni operato dell’altro con becera rozza ignoranza del bene), atteggiamento che ha portato alla totale delega ad una politica diminuita di potere reale, perché sempre meno espressione della base, ma pilotata dall’alto da interessi altri quelli riguardanti il bene comune delle comunità locali, e ad un’indifferenza che rischiano di divenire perdita totale di controllo sulla gestione della cosa pubblica, come detto sopra.
Il da farsi non sta a me indicarlo, dico solo che in questo momento ho un grande desiderio di fare il prete con il breviario in mano, un pulitissimo abito talare indosso che non si sporca per nulla che non gli riguardi, vile e taciturno, sapendo benissimo che ciò per me sarebbe l’inferno di un morto vivente, sepolcro imbiancato che non sa dare risposte ai giovani senza speranza e disoccupati che gli sono affidati dinanzi a Dio. Il vostro Parroco vi chiede aiuto, cacciatemi, fatemi uccidere se do fastidio, ma non siate ipocriti. Tutto è recuperabile se ci liberiamo dalla paura di chi può uccidere il nostro corpo e cominciamo ad avere il coraggio di aver paura di Chi può uccidere sia il corpo che l’anima, cioè il cancro della Divisione che ci fa scagliare gli uni contro gli altri, rossi contro neri, fedeli contro infedeli, buoni contro cattivi: Satana, il diavolo, il muro di divisione che nella superbia ci separa da Dio e dagli altri. Se il Male viene identificato con qualsiasi creatura umana, si confonde il bene con l’eliminazione dell’altro, la religione stessa diviene ca-morrìa, il desiderio di morte dell’altro perché di ostacolo ai miei progetti egoistici, mentre invece dovremmo essere testimoni del Risorto che non è venuto a giudicare o a condannare nessuno, ma a portare misericordia presentandosi come la Via che conduce alla vita eterna, unico bene che nessuno potrà mai toglierci, al quale ogni nostro pensiero, azione, scelta deve ricominciare ad orientarsi.
Grazie per tutto ciò che continueremo a fare insieme, vi amo tutti ed ognuno,
ringrazio Dio di avermi mandato in mezzo a voi e sono sempre più felice di esserci.
Il vostro Parroco don Lorenzo Langella
Iscriviti a:
Commenti (Atom)
